Il Sentiero della pace, un valore aggiunto
Congresso Walk of Peace, Trieste, 5 Maggio 2022
Jernej Šček
Lo scrittore triestino sloveno Alojz Rebula scriveva di come qui, sull’Alto Adriatico, con cento passi si entra dal proprio piccolo giardino di casa nella grande storia.
Essa ci irrompe dentro senza bussare, piantandosi in questa terra di confine e confini, dividendo famiglie, imponendo fratricidi filoaustriaci o filoitaliani, storie di eroi, martiri e traditori, carnefici e carneficine, ponendo le basi per la prima, la seconda, quella fredda - un’unica grande guerra primonovecentesca, una pesante e arrugginita croce nera, che abbiamo volenti o nolenti trasportato con se, tra famiglie, scuole ed ideologie, memorie e smemorie, fino ai giorni nostri.
Oltre allo sciock geopolitico – la caduta dei quattro vecchi e malati sistemi imperiali – c’è qualcos’altro a lacerarsi in noi stessi, una senso di invincibile e leggiadra certezza massacramente fragile, tragicamente descritto dallo scrittore viennese Stefan Zweig – la fine del sogno nel mondo della sicurezza. Gli spari a Sarajevo eccheggiano all’apice della civiltà occidentale: la sera prima balliamo i valzer e le polke nello splendore dei teatri dello Ringstrasse, il giorno seguente mandiamo i ragazzi del ‘99 come carne da macello nelle trincee di posizione. L’uomo della modernità cade per la seconda volta, cosciente che lo sviluppo tecnologico non coincida più con il progresso dell’umanità, ma al contrario ne minaccia la sopravvivenza. Ecco, per troppo tempo abbiamo risposto al Primo Novecento: preferirei di no, socchiudendo gli occhi, magari sorvolando, tacciando, leggendo parzialmente, ad uso e abuso politico.
Il progetto Walk of Peace ha smosso montagne, smuvendoci dentro, mettendoci in cammino, aprendoci gli occhi per il comune, tragico destino di quei poveri cristi, italiani e sloveni, austriaci e tedeschi, magiari e bosgnacchi, che riposano in pace, spalla a spalla, nel cimitero di Log pod Mangart.
Stiamo letteramente in piedi sull’Adriatico, con una gamba sui Balcani, l’altra sullo Stivale, Europei ed Europee, perchè altrimenti non possiamo. La nostra Europa è la chiesa commemorativa di Santo spirito a Javorca, nella Valle dell’Isonzo, dove credenti ed atei, cristiani e musulmani nel 15-17 pregano per la pace. L’Europa è Caporetto, miracolo per gli uni, disfatta per gli altri. È il generale Rommel, eroe, nemico, carnefice. L’Europa è l’ossario tedesco di Tolmino, costruito sulla terra redenta a chi solo vent’anni prima ti ha umiliato, scacciandoti sul Piave, improvvisamente tuo alleato. L’Europa sono le cinquanta chiesette della Venezia Giulia, occupate dall’Italia dopo Rapallo, affrescate tra le guerre dal pittore Tone Kralj: scene bibliche che affiorano lezioni di storia politica. La nostra Europa si declina in duale: Cadorna e Borojevič a quattr’occhi oltre il Vallone. L’ Europa è il San Martino del Carso di Ungaretti ed il Doberdob di Prežihov Voranc. Sono i cipressi sulla terra rossa. I cimiteri militari austriaci creati tra le guerre dal Ventennio. Sono tutti i militi ignoti, figli di altrettante Marie Bergamas, che parlano tutte le lingue d’Europa. L’Europa è mia nonna paterna, nata a Bovec, ai tempi Plezzo, italianizzata a suon di Dante dal regime fascista. Evropa è Trieste, la porta marittima per il centro europa almeno dal 1382, da un millenio e mezzo spartiacque dei mondi latino e slavo. L’Europa sull’Alto Adriatico semplicemente è, un passato mai passato, scuola di vita e convita, offerta dalla storia a ogni passo, dalle Alpi all’Adriatico. Da un punto ad un’altro della Walk of Peace, dal Rombon a Čezsoča, dal Krn/Monte Nero al Matajur ed al Kolovrat, dal Collio/Brda alla Bainsizza/Banjščica, dalle alture, doline e quote di Doberdò ai Lupi di Toscana ai piedi dell’Ermada, dove il fronte sprofondò nel Golfo, lasciando Trieste inconquistatamente austriaca fino all’arrivo del cacciatorpediniere Audace nel novembre 1918.
Per chi cammina sul Walk of Peace, questi nomi prendono forma e spazio, orientando attraverso la mappa concettuale della cultura europea. Sono più che citazioni tratte dai libri di testo: attraverso di essi possiamo rivivere esperienze e avventure, l’odore della roccia umida al mattino, un cuscino stropicciato da bivacco, una gelida presa del filo spinato sulla Batognica/Monte Rosso. La memoria è arte topografica, insegna la storica inglese Francis Yates: quel «qualcosa» dev’essere «in qualche luogo» affinchè ce lo ricordiamo. La Walk of Peace ci guida idealmente e concretamente, passo dopo passo, attraverso il Novecento, dando ai luoghi un luogo, un senso ed un significato, una viva associazione, una vescica da scarpone, uno scatto fotografico, un ritmo del cammino.
La memoria della Grande guerra nell’Alto Adriatico è confluita a noi attraverso due diversi, perfino opposti racconti memorativi e valoriali. La storia secolare del Friuli-Venezia Giulia è essa stessa spartiacque, rivolta verso due capitali spirituali, culturali e politiche, Venezia ad occidente e Vienna ad oriente. La Walk of Peace come eterotopia, un luogo fisico per più luoghi semantici, confine orientale per gli uni, confine occidentale per gli altri, miracolo per gli uni, disfatta per gli altri, l’Isonzo e il Piave, due idee fratricide, più che fenomeni geografici, e la verità storica in mezzo. Una chiave concettuale per riflettere che ogni storia ha qui due sponde ed è proprio questo ondeggiare delle pratiche commemorative e narrative ad aprire esperienze di arricchimento comune, respirando aria europea, coltivando il sapere, non l’oblio, guardandoci allo specchio con gli occhi dell’altro, per conoscere e crescere in pace, convivenza e tolleranza.