Negli anni cinquanta – con la prima ripresa economica e sociale della città di Gorizia dopo la guerra – la Galleria Giorgio Bombi fu inaugurata per rendere possibile il passaggio da una parte all’altra della città sotto il Castello, consentendo a cittadini e visitatori di avere una opportunità in più. La Galleria ha assistito silenziosa a numerose vicende nel corso della storia della città: poteva anche diventare, ad esempio, il luogo dove sistemare un ascensore verso il Castello che la domina, eliminando altre brutture non ancora completate. Invece, ha assunto anche altri appellativi, galleria della solidarietà, icona dei rifugiati, galleria degli errori e degli orrori e sito della disumanità.
Dal 31 luglio al dicembre 2017 – dopo un periodo di chiusura al traffico veicolare – la Galleria Bombi, intitolata ad un sindaco del novecento, è stata infatti luogo di rifugio e di accoglienza per rifugiati e migranti di varia provenienza. Il sito si è fatto così un nome grazie anche ai social che guidano gruppi e comunità di essere umani che vagano sul territorio europeo e che, in attesa di avere documenti adeguati, erano praticamente obbligati ad arrivare a Gorizia, dove fino a qualche mese fa, funzionava un ufficio adeguato (accoglienza e raccolta), ora trasferito a Udine e Trieste. La vicinanza di tali uffici alla galleria, ha fatto il resto. Si è trattato, in fondo, di un rifugio estremo (un tetto sopra la testa), in quanto altri luoghi di accoglienza risultavano esauriti o impediti.
Un’estate pesante A parere del sindaco Rodolfo Ziberna, le commissioni prefettizie a Gorizia sarebbero la causa dell’invasione dei migranti in città. Non si spiega però come a Pordenone e Trieste, capoluoghi che non hanno le “commissioni prefettizie” ci siano i migranti. A Pordenone uno di loro è morto di freddo nel mese di novembre: era un migrante indiano di 40 anni.
In altre parole, la Galleria Bombi è diventata il sito attraverso il quale Gorizia – città e territorio – ha presentato il suo volto e viene riconosciuta da diverse migliaia di rifugiati, oltre che dagli utenti delle cronache cittadine e regionali. Le ultime immagini (seconda settimana di dicembre) sono a testimoniare anche la volontà pervicace e determinata dell’Amministrazione comunale che ne ha decretato la chiusura; trasformata, così, per iniziativa di un gruppo di cittadini in un logo eloquente, cioè “manifesto” politico, sul quale si possono leggere giudizi e informazioni alternative. In altre parole, un sito che – per gli amministratori della città – costituisce un giudizio inappellabile: “NO MIGRANTI”. Gorizia respinge e non accoglie, anche perché si tratta di “migranti fuori convenzione”.
Si può convenire che l’accoglienza non ha limiti... e dunque non è praticabile per principio. Costruire ponti e non muri Papa Francesco, in occasione della XXXI Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, aveva affermato che ”La vita di oggi ci dice che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di proteggerci da ciò che ci fa male. Oggi noi adulti abbiamo bisogno di voi, per insegnarci a convivere nella diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una minaccia ma come un’opportunità: abbiate il coraggio di insegnarci che è più facile costruire ponti che innalzare muri!”
Riportiamo queste parole autorevoli proprio per evidenziare che, nel caso di Gorizia, si è trattato di una chiusura senza alternative per coloro che, condannati a vivere sotto i ponti e lungo l’Isonzo, cercano un riparo ed una protezione indispensabile. Altri, meno sfortunati, sono da tempo ospitati per iniziativa della Caritas e della diocesi, ma anche dalle amministrazioni comunali coraggiose di alcune comunità del goriziano (S. Canzian, Turriaco, S. Pier d’Isonzo, Sagrado, Grado e prossimamente Ronchi), con la collaborazione delle forze dell’ordine e di tanti volontari senza nome.
Il NO, ripetuto stancamente da mesi ad un’unica voce ha avuto un risultato: consentire alla maggioranza che continua a reggere il Comune di Gorizia una vittoria elettorale caratterizzata appunto da questa scelta, imposta da alcune componenti partitiche. Tutti possono verificare lo scarto pesante, rispetto anche solo alla precedente amministrazione guidata dal sen. Ettore Romoli, al quale va dato atto di una gestione più attenta delle forme ed anche della sostanza.
Gorizia – il cui nome è conosciuto nelle capitali d’ Europa e non solo – ha così vissuto (e continua a vivere) questa violenza e questo insulto al senso di umanità e di civiltà, oltre che al passato di tradizioni civili e democratiche, soprattutto di accoglienza e solidarietà, di giustizia e pace. Una tradizione che ha dato prove singolari: ricordiamo, in tempo di guerra fredda, l’accoglienza generosa agli esuli dall’Istria, ai quali furono aperte le porte delle case e assicurati posti di lavoro, molto prima dei locali; con lo stesso stile furono aperte le porte della frontiera di ferro (agosto 1950, domenica delle scope); altrettanto dicasi dell’ accoglienza nel 1968 (invasione di Praga) ed in occasione della guerra dei Balcani (anni novanta). Senza dimenticare, appunto, che Gorizia nel dopoguerra è stato il confine più aperto d’Europa sulla cortina di ferro; esemplarmente, si è meritata il riconoscimento unanime in forza proprio di quello “spirito di Gorizia”, in nome del quale Gorizia ed i Goriziani (ad di qua e d al di là del confine) si sono battuti per l’abbattimento dei confini e dei muri. “Geist von Gorz” che, tra l’altro, conserva ed esprime legami millenari di tante comunità della medioeuropa nella comune origine aquileiese del Goriziano, come evidenziano i migliori intellettuali di questa terra.
Girare la testa dall’altra parte
Uno smacco che offende il passato; illude per il presente e, soprattutto, crea le premesse per un futuro difficile. Gli atteggiamenti di chiusura e di non accoglienza – espressi in modo preventivo, senza essersi mai misurati coraggiosamente con la difficoltà della gestione del fenomeno delle migrazioni – altro non sono che fuga dalla realtà e arrendevolezza. Si tratta, di un vero e proprio “ girare la testa dall’altra parte”, incapaci perfino di intenerirsi davanti alle condizioni tremende di essere umani, per noi fratelli e sorelle, perseguitati e abbandonati da tutti.
E tutto questo in forza di un riferimento identitario primario e senza appelli: straniero, rifugiato, migrante…, migrante fuori convenzioni. Respinto. Dunque, non uomo, cosa, merce di scambio al massimo. In primo luogo, occorre riconoscere davanti al mondo che i migranti altro non sono che esseri umani: uomini, donne, bambini e bambine, giovani e vecchi. Ogni altra aggettivazione viene dopo, ma solo per descrivere le situazioni nella loro parzialità. La condizione di essere straniero – per i credenti- accomuna l’umanità e non la divide, perché tutti siamo “stranieri” (cioè di passaggio) sulla terra. Così come la condizione di povertà (economica o di altro tipo) non è sufficiente a determinare alcuna discriminazione; anzi, accomuna tutti, perché nessuno è proprietario sulla terra. Tutto è stato dato in dono e, dunque, siamo impegnati a considerare terra, acqua e ambiente a servizio di tutti, con l’impegno di migliorarne la condizione, anzi di lasciarla migliore rispetto a quella che abbiamo trovato.
Non poche volte – anche da parte della Caritas e di altri – è stato ricordato benevolmente ai vari esponenti dell’Amministrazione comunale (e non solo) che una cosa sono le attività di stretta emergenza: vedi ad esempio, il trasferimento forzato delle persone in Galleria in occasione della tre giorni di settembre, “Gusti di frontiera”, offrendo loro una sistemazione passeggera. Quando, invece, si realizzano condizioni stazionarie e permanenti di precarietà, il dovere di intervenire responsabilmente, per la verità, è di ciascuno e di tutti, ognuno secondo le proprie capacità. Altra, invece, è la responsabilità che l’ente locale deve assumersi di fronte ad eventi di carattere ordinario e straordinario (gente sulla strada o sotto i ponti); responsabilità, quest’ ultima, da condividere con enti o persone, ma la cui gestione ed organizzazione spetta appunto all’ente locale più vicino alla vita delle persone. Il Comune in prima luogo. Niente di tutto questo è stato fatto. Fatta eccezione per la benemerita attività del volontariato.
Deboli con i forti e forti con i deboli
Il Comune non solo non fa fatto ha fatto nulla, ma ha spalmato il problema su tutta la città. Alla luce dei riflettori (televisione e stampa) Ziberna sostiene che è inammissibile lasciare delle persone in queste condizioni poi chiudeva l’acqua della fontanella di piazza Vittoria, emetteva una ordinanza anti bivacco, riteneva di non provvedere con bagni chimici…; tutto questo in una logica militare che ha fatto terra bruciata attorno a degli sfortunati e rendendo anche difficile il compito di aiutarli.
Piuttosto che governare il fenomeno, si è preferito (e si preferisce) utilizzare il fenomeno-migrazioni come strumento elettorale, nella condivisione di avere vantaggi sicuri. La stessa opinione pubblica – in modo suadente, acritico e populista, ha accettato di lasciarsi prendere per il naso e sfruttare per il consenso: nel nostro Paese, si è fatta strada l’idea che basti agitare lo spettro dell’immigrazione (a questo punto, clandestina o non, poco importa) per vincere le elezioni a man bassa. Tutto questo vale per il passato, ma anche, soprattutto, per il futuro. La casistica lo dimostra: a Monfalcone come in centri minori, vicini e lontani è già avvenuto. Senza dimenticare le manifestazioni antiaccoglienza di Cervignano, di Turriaco e soprattutto di Grado (Fossalon) davanti alla basilica con canti religiosi utilizzati con finalità offensive della dignità umana. In questo le vicende della galleria Bombi sono una prova provata.
Il territorio provinciale con Gorizia al primo posto, da anni, affronta e sostiene in Regione una parte rilevante del peso dell’accoglienza: vedi l’opera del Cara a Gradisca, l’attività della prefettura, la presenza impegnata allo spasimo della Caritas, le varie cooperative. La scelta da parte dei rifugiati (migranti o sbandati…) di occupare la Galleria nasce anche dalla esigenza di essere più vicini ai servizi presso la Prefettura in vista della richiesta di asilo politico o comunque di documenti indispensabili per avere una casa, trovare un lavoro, essere accolti in una comunità o anche trasferirsi in un altro Paese.
Protagonisti di solidarietà
Dal mese di luglio 2017 – secondo gli esponenti benemeriti del gruppo di volontari autodefinitisi “Gorizia solidale”, con i quali erano (e sono) uomini e donne di Gorizia di diversa provenienza, consiglieri comunali, compresa l’Onlus tedesca di Herr Stephen e di Birgitte – è a disposizione la fotografia giornaliera del numero di alloggiati precariamente per la notte, delle loro provenienze (Afghanistan e Pakistan, soprattutto) e delle attività svolta a loro favore (cena e thè al mattino, visite mediche, medicine… lettiere o materassi, coperte, vestiti).Considerato il numero di presenze giornaliere (da quaranta a settanta con punti di 160 presenze, registrate il 12/11/2017), i motivi seri di intervento da parte del Comune non mancavano. L’ Amministrazione comunale ha preferito scegliere la strada dei piccoli dispetti: oltre al ricordato spegnimento della fontana di piazza Vittoria, come a Monfalcone dove si è preferito levare le panchine… tutto è avvenuto nel silenzio quasi tombale della città, fatta eccezione per la presenza (31/7) di alcuni esagitati che surrogandosi compiti che sono delle forze dell’ordine, hanno allontanato un gruppetto di rifugiati alla Valletta del Corno. Tali gesti sono stati definiti, da una cronaca almeno carente, metodi di dissuasione passiva.
Una serie di lettere su Voce Isontina e di appelli rivolti direttamente alla diocesi e alle parrocchie cittadine nel mese di settembre, hanno originato un cambio deciso di attenzione consentendo di mettere in atto un intervento a favore di queste persone che, evangelicamente parlando, appartengono alla categoria degli ultimi, degli scartati della vita. La comunità degli ospitati è formata perlo più da giovani (18-30 anni), esuli dalle situazioni drammatiche dell’ Afghanistan e del Pakistan. Volontari ed ospiti hanno ogni giorno provveduto a spazzare la galleria e raccogliere i rifiuti anche dal vicino parcheggio.
Tra la chiusura della Galleria – con grande fanfara e dilapidazione di beni denaro pubblico – e l’apertura del tendone, hanno operato con encomiabile spirito di servizio i Padri Cappuccini e la parrocchia del Duomo di Gorizia, che hanno ospitato per diverse giornate di pioggia, maltempo e neve gli stranieri, cioè esseri umani bisognosi. Sono aperti nel contempo altri servizi sul territorio, la mensa dei Cappuccini aumenta le frequenze. Il futuro appare incerto e complicato.I migranti possono consumare sempre grazie al volontariato e alla comunità una piccola cena a s. Rocco (grazie anche alla collaborazione di parrocchie e gruppi diversi) poi si avviano al tendone Contavalle per la notte.
Alla fine si deve dire che sono stati giorni di polemiche assurde, di contrapposizioni e di insulti a buon mercato. Fino al mese di novembre, quando la diocesi nella persona dell’arcivescovo Redaelli –raccogliendo la voce della pubblica opinione ecclesiale e non – si è fatta carico di una iniziativa concreta: l’affitto di un tendone, posto all’interno della proprietà del Contavalle, per ospitare per un periodo definito di alcuni mesi, la gente che aveva ripreso la strada delle sistemazioni precarie all’addiaccio. Fino a marzo, comunque.
Vigilia di Natale
Mentre scriviamo è la vigilia di Natale. Le prospettive, considerata anche la stagione invernale, tutto sommato, non sono leggere. Anzi. Cosa succederà alla cessazione della disponibilità del tendone, intervento meritevole e utile, ma non definitivo? Restano intatti tutti i problemi: intanto, centinaia di giovani stranieri bighellonano sulle strade, davanti alla prefettura, alla mensa, al dormitorio o lungo l’Isonzo con grave scandalo dei benpensanti cittadini, molti dei quali dicentesi cattolici. Niente si fa per loro a partire dall’insegnamento della lingua italiana, dal possibile utilizzo per lavori sociali, attività sportiva o altro. Parole moralistiche contro lo struscio quotidiano che alimenta il qualunquismo, irrita i benpensanti e quanti, populisti soprattutto, invocano interventi cautelativi, allontanamenti… ordine e pulizia, soprattutto l’eliminazione del problema sulle pagine della cronaca.
Ospitando notizie non sempre precise si rischia di alimentare pregiudizi e di consentire a qualcuno di nascondersi dietro al fariseismo di prammatica. L’elenco dei bisogni si deve accompagnare nell’informazione con le ragioni che stanno alla base della mobilità obbligata N. 75 DICEMBRE 2017 PAG 29 dei popoli (guerre soprattutto di potere e di dominio del tutto prive di ragioni religiose, ingiustizie e non sviluppo…) e, soprattutto, aiutare i lettori ad interrogarsi sulle ragioni del disimpegno della politica e dell’amministrazione pubblica. Altrettanto rischioso è alimentare, con notizie parzialmente false, la sensazione che i nuovi arrivati portino via il posto di lavoro ai nostrani... o con amenità del genere.
Chiusa la galleria, tanti hanno fatto gare per prendersi il merito di aver risolto il problema. Lasciare tutto alla carità-solidarietà della gente e, ai volontari e alla comunità ecclesiale, non è ancora una soluzione. Qualora l’Amministrazione comunale ritenga di non poter dare risposte concrete, chieda, allora, la collaborazione della gente, di coloro che possono assicurare vestiti, cibo e sistemazione decorosa; si faccia promotrice di organizzare forme realistiche di migliore convivenza, solleciti altri interventi statali e non. Soprattutto, dimostri di volere interessarsi responsabilmente delle vicende umane di tante persone e – in nome della civiltà e dell’umanità- dichiari di fronte a tutti la disponibilità a studiare un progetto di accoglienza, preparare persone e idee, trovare fonti di finanziamento.
Che cosa manca e che cosa è venuto meno? Sono domande che doverosamente tornano alla ribalta della coscienza e del buon senso, del senso di umanità e civiltà. Le popolazioni di questa terra hanno nel passato sperimentato sulla loro pelle la migrazione – sempre dura e difficile, piena di sacrifici e rinunce- potranno continuare ad essere non sensibili davanti a tanto spreco di umanità?
Testimonianze del passato per leggere il presente.
Negli anni novanta, al disgelo che ha scomposto i paesi dell’ex-Jugoslavia, Gorizia è stata teatro di un’ immigrazione proveniente dall’est. Polizia e singole persone si sono adoperate per rispondere alla domanda di aiuto degli esuli. Una istituzione cittadina – le suore della Carità di villa Verde – ha risposto con forme di accoglienza silenziosa e fraterna nei confronti di oltre due migliaia di persone, accolte nella loro casa. Alla domanda del cronista che chiedeva le ragioni di tale impegno disinteressato e premuroso, la superiora suor A. rispondeva. “Ho restituito ad altri fratelli e sorelle bisognosi quanto hanno ricevuto i miei tre fratelli, militari in Russia (operazione Barbarossa), che hanno potuto rientrare nella nostra casa natale in Alto Adige, grazie alla carità di un latte caldo e di un po’ di pane, al calore delle isbe aperte dalla buona gente russa”. Un modo di ricambiare il bene ricevuto.
Ad un figlio che – alla fine degli anni cinquanta- chiedeva la ragione per la quale perché la nostra famiglia non aveva ancora potuto avere una casa popolare che gli spettava di diritto, una giovane madre (che non avrebbe mai potuto realizzare tale sogno) rispose: “C’è qualcuno che è più povero di noi!” E, si trattava di una famiglia costretta a condividere, per molti mesi, la camera da letto con un’altra famiglia di parenti. Gli altri, i più bisognosi, erano in quel momento gli esuli dall’Istria. Quando muore la memoria, tutto è possibile, anche di dimenticarsi il bene ricevuto e soprattutto dimenticarsi che gli altri vengono prima. Pena il prezzo di non comprendere il valore della vita e del bene comune. Gorizia – la sua terra e la sua storia – è fatta anche di questa pasta. Guai se – illudendosi di essere qualche volta la bella addormentata nel bosco – non rivendica questo substrato di civiltà e di nobiltà che non solo giustificano la sua tradizione ma la rendono assolutamente attuale. Sicuramente non saranno alcuni… personaggi in cerca di autore a rovinare una storia ed una tradizione e, soprattutto, a non rendere possibile un futuro. Il futuro che è fatto di ponti e di accoglienza, non di respingimenti e di teste girate dall’altra parte.
In occasione delle feste natalizie, l’arcivescovo di Gorizia, monsignor Carlo Redaelli, ha incontrato le autorità della provincia di Gorizia pronunciando il seguente discorso augurale. Lo pubblichiamo volentieri nelle pagine seguenti.