L’anno 2017 si è chiuso con l’annuncio che domenica 4 marzo saranno aperte le urne per il rinnovo della Camera dei Deputati e per il Senato.
Il nuovo anno, 2018, si annuncia pieno di appuntamenti.
Nel mese di aprile sono annunciate le elezioni regionali nel Friuli Venezia Giulia. Appuntamenti elettorali che sono poi appuntamento di fiducia e di responsabilità ma che avvengono in un momento di grave crisi politica e soprattutto della Politica, quella con la P maiuscola, cioè quella capace di pensare al bene comune nel rispetto della democrazia e della partecipazione.
Ha scritto una rivista qualificata: “Si apre una stagione di certa instabilità per non dire di caos, che mostrerà l’inadeguatezza della classe politica e logorerà ulteriormente diversi soggetti in campo. Il Paese ne sarà indebolito sul piano economico e nel suo ruolo a livello europeo ed internazionale, con buona pace per quanti predicando il No al referendum del 4 dicembre 2016 credevano di salvare l’Italia dall’autoritarismo”. Parte, anche se non rilevante, di responsabilità andrebbe attribuita alla riforma elettorale proprio in quanto di fatto ha imposto un ritorno alla prima repubblica.
Saggezza insegna che non solo non esiste un sistema elettorale ideale; tutti possono funzionare quando appunto esiste ed è forte “la ragione politica”, la politica in una parola.
Politica che, per definizione, indica una scelta del bene comune come orizzonte irrinunciabile; esige poi l’accoglienza del metodo del confronto e del dialogo ma anche della decisione; una visione che privilegia nella società quelli che hanno di meno e sono ultimi; postula, ancora, un metodo che non prevede camarille e privilegi; infine, richieste scelte e capacità di stare insieme. “La comunità politica – af- ferma il Concilio (n. 74) – esiste in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico originario e proprio.” E, poi, continuando, “Il bene comune si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno della perfezione. … diri- gere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà della coscienza e del compito assunto.”
Molti sono gli ostacoli per il conseguimento almeno intenzionale di tali intendimenti e progetti. Innan- zitutto, l’assenza nelle forze partitiche di u progetto, poi l’astensionismo che a sua volta sottolinea la rassegnazione e la mancanza di speranza oltre che la sfiducia in tutto ed in tutti.
Sono le condizioni più facili per prevedere le non poche difficoltà del dopo-voto.
Dunque, l’astensionismo (in Sicilia è andato al voto poco meno del cinquanta per cento!) si supera al prezzo di alcune condizioni. La prima delle quali è che i partiti e le forze in campo si impegnino a
dimostrare con i fatti che il voto di ciascuno e di tutti hanno un obiettivo comune, quello di cambiare la politica del Paese. Guai a noi se dovesse prevalere il numero di coloro che sono convinti che andare o non andare al voto non ha una qualche influenza nel- la vita pubblica e anche personale, familiare, sociale.
Per rendere plausibile questa possibilità (ricucire la fiducia) occorre che partiti e gruppi che inten- dono chiedere il voto siano allo stesso chiari nelle loro proposte e che mettano in gioco non la loro sopravvivenza ma appunto il bene del Paese. Solo a questa condizione la gente potrà ritornare al voto e votare con consapevolezza. Non basta di sicuro – come sembra orientato il centro destra – riproporre una forma di ricomposizione perché tutti uniti si
vince; non pare sufficiente – sinistra radicale e postco- munista – né l’idea di recuperare il consenso dei non votanti (comunisti) e, tantomeno, porre la propria centralità di politici al centro di tutto in vista di eliminare altri concorrenti; infine – il centrosinistra- potrà ottenere consenso solo se torna a “mettere in connessione le ragioni della propria proposta politica con le ragioni (lavoro, scuola, sicurezza,sanità, stato sociale, cultura) del Paese”. Anche per la terza gamba,
– i pentastellati – non solo non è produttivo conti- nuare a percorrere alcune scorciatoie (aggressività e denigrazione dell’avversario sentito come nemico o ricorso alla legge della rete “mediata” dal leader deci- sivo comunque) nell’illusione di vincere da soli senza capacità di alleanza e dialogo.
Ritrovare le ragioni del pensare e del fare politica, rappresenta la sola condizione per cambiare la situa- zione. Puntare sull’area dello scontento e sull’om- brello della coalizione divisa comunque su tutto, potrà pagare? Andare da soli pensando di salvare se stessi comunque, ma cercando la delegittimazione altrui, va bene fino alle urne, ma dopo?
A livello nazionale e locale, soprattutto regionale, non è meno facile; una visione che è insieme euro- pea nei contenuti e nelle prospettive, torna ad essere attuale, così come interrogarsi proprio sulla funzione della specialità della Regione, piuttosto che disqui- sire sulle manchevolezze di qualche troppo timida riforma.
In discussione è la Regione come tale. La sua autonomia e la sua capacità di sciogliere i nodi della rappresentanza sul territorio in una visione non divisoria (Friuli - Udine e Trieste)
azzerando il resto a contorno. La gente andrà a votare solo a condizione che si dica qualcosa di coinvolgente per quanto riguarda lo stato so- ciale e la sanità, il lavoro dei giovani e la cultu- ra, ma dentro ad un quadro unitario che non sceglie il privilegio, impone la soppressione di enti inutili (e della burocrazia) e la privatizza- zione a tutti i costi. Sicurezza per il futuro
e certezza dello stato di diritto vengono al primo posto, insieme con il lavoro da
promuovere insieme con la dignità. Il voto sarà meno precario se si riesce a dire il nostro posto, certo con spirito unitario e unificante, nell’Europa dei popoli e delle comunità.
Da questo angolo di osservazione, ci sen- tiamo di mettere in campo tutto quello che ha caratterizzato il Goriziano. A incominciare con l’esigenza di riscoprire l’identità nel ricono- scimento dell’unica fratellanza di uomini e
di donne, di popoli e di persone che sanno costruire ponti ed abbassare montagne, che trasformano anche il confronto in un dialogo collaborativo e non in uno scontro. Al mo- mento in cui si riforma anche il modello dei servizi (sanità, Uti ma anche trasporti) e che rimette la cultura al centro di una trasforma- zione che sarà tale solo a condizione che abbia un concreta immersione nella cultura che di per sé è innovazione, non potrà che individua- re strade di risparmio e di valorizzazione del patrimonio che abbiamo a disposizione.
La spartizione del territorio regionale – sulla base di due centri (Udine e Trieste o Trieste e Udine) che non avendo voluto dialogare ma nemmeno tentare di farlo, ci impongono due università, due ospedali… – non eliminare ci può convincere; e non solo perché Gorizia e la sua terra viene praticamente divisa e resa periferia.
Sta a noi, perciò, al Goriziano che vuole contare non per i numeri o i meriti del pas- sato ma sulla potenzialità dell’incontro della diversità (Gorizia e Monfalcone) e la capacità di rappresentare il territorio insieme anche con le componenti friulane e slovene, ifiutare tale prospettiva inaccettabile con proposte alter- native. E non potranno che essere proposte costruite insieme.
Appunto, appuntamenti da non mancare.