Sono passati cinque anni dal rapimento al Cairo di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano vittima di torture e poi assassinato. Cinque anni di silenzi assordanti da parte dell'Egitto che, tra depistaggi e mancate risposte alla Procura di Roma che indaga sull'omicidio, non ha mai dimostrato di voler realmente arrivare alla verità su quanto accaduto in quei giorni a cavallo tra gennaio e febbraio del 2016 che precedettero il ritrovamento del corpo straziato di Giulio lungo la strada che dalla capitale porta ad Alessandria. Nei giorni scorsi la Procura di Roma, guidata da Michele Prestipino, ha chiesto il rinvio a giudizio per i quattro 007 egiziani coinvolti nell'inchiesta, con l'udienza preliminare che potrebbe essere fissata entro la fine della primavera. Una vicenda, assieme a quella di Patrick Zaki - lo studente egiziano dell'Università di Bologna in carcere preventivo da quasi un anno al Cairo con l'accusa di propaganda sovversiva - che rimanda alle violazioni sistematiche dei diritti umani in Egitto. Amnesty International ha denunciato che tra novembre e dicembre sono stati messi a morte nel Paese almeno 57 prigionieri, donne incluse, quasi il doppio delle 32 esecuzioni capitali registrate in tutto il 2019. Questo bilancio già di per sé drammatico rischia di essere sottostimato, poiché le autorità egiziane non rendono noti i dati sulle esecuzioni e sul totale dei prigionieri nel braccio della morte e non danno preavviso a familiari e avvocati. In occasione dell'anniversario del sequestro il caso sarà discusso nel prossimo Consiglio Esteri Ue, che si terrà appunto il 25 gennaio. A parlare della vicenda in videoconferenza sarà il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che farà il punto sulla situazione processuale. Intanto la comunità di Fiumicello, il paese dov'è cresciuto il ricercatore, si prepara a ricordare Giulio. Quest'anno, a causa dell'emergenza Covid, tutti gli eventi si svolgeranno in streaming. -