Riandando al mezzo secolo di vita di “Voce isontina”, il numero dello stesso settimanale goriziano che uscì il 5 aprile 2014 ha ricordato i vari contributi e gli orientamenti innovativi che, su basi storiche e ragionate, furono impressi a Gorizia e al Goriziano da organizzazioni e associazioni avviate da poco, come il Centro “Rizzatti” e il periodico “Iniziativa isontina”, da cui sarebbero derivati nel 1966 anche gli Incontri culturali mitteleuropei. Si doveva e si voleva superare un quarantennio dominato in genere da inerzia vittimistica e da ripiegamenti angusti che si compiacevano di preferenze nazionalistiche.
Accanto a proposte di scelte culturali imbevute di responsabilità e tanto coraggiose, nella riflessione su una specifica identità storica ed etica, da sembrare nostalgiche, si affrontarono allora temi e aperture sia nella riscoperta del vero volto di Gorizia, sia nell’individuazione responsabile di impegni tanto attuali quanto spesso oscurati da facili rinnegamenti.
Proprio negli anni Sessanta un’attenzione particolare e approfondita, su basi documentate ma da tempo taciute e rimosse, fu rivolta alla storia più recente del Goriziano e quindi anzitutto alle vicende connesse con la prima guerra mondiale, che fino ad allora era stata considerata quasi soltanto come conclusione eroica di un processo risorgimentale in cui venivano fette emergere le premesse irredentistiche, le violenze militari e giustificazioni di taluni comportamenti intolleranti e repressivi, senza che una considerazione di pari scrupolo e attenzione venisse rivolta alle condizioni alle quali erano state costrette a vivere le popolazioni che per le ragioni più disparate dovettero abbandonare le proprie case.
Non è tenuta perciò nella debita considerazione la risposta risentita di certo radicato nazionalismo italiano quando uscirono gli scritti di Camillo Medeot, che in modo speciale su “Voce isontina” e su “Iniziativa isontina”, indussero a prendere in considerazione i risvolti molto dolorosi che riguardarono la popolazioni goriziane tra il 1914 (prima dunque del 1915) e il 1918.
Lo stesso arcivescovo Pietro Cocolin, decidendo di dettare la prefazione per il volume con le Storie di preti isontini internati nel 1915, fu profondamente sorpreso dalla ricostruzione delle vicende persecutorie che avevano travolto una settantina di sacerdoti dell’arcidiocesi goriziana. Il lavoro, curato da Camillo Medeot, uscì a puntate su “Iniziativa isontina” tra il 1967 e il 1969 e poi in forma unitaria quale edizione della medesima rivista con la premessa di Pasquale De Simone (“alla bontà d’un proposito e alla comprensione dei giusti si affida”). Nella sua prefazione mons. Pietro Cocolin lodò un’”opera che vuole solo mettere in luce un momento triste della vita della nostra archidiocesi”.
Negli anni seguenti Camillo Medeot condusse altre ricerche sui conterranei che a causa della guerra dovettero spostarsi “altrove”, spesso molto lontano, e così poté ricostruire anche la storia dei suoi compagni di classe, giuliani e trentini, che avevano potuto continuare negli studi a Kremsier/Kromĕříž, l’Atene morava (“Iniziativa isontina”, 1969 e poi 1971): egli promosse inoltre incontri a Gorizia, a Gradisca e a Trento, per quanto possibile con gli stessi colleghi. Si deve poi ricordare che l’Istituto magistrale goriziano si rifugiò ugualmente a Kremsier e che il prestigioso Staatsgymnasium goriziano poté riprendere la sua attività a Graz (ancora una volta ‘altrove’), avendo tra gli insegnanti anche Ervino Pocar.
Può essere curioso che fossero finiti ‘altrove’, per esempio a Lubiana o a Vienna, altri giovani goriziani: a questo proposito piace trascrivere il testo, alquanto scherzoso e volutamente scorretto, di una cartolina (conservata nel fondo Marega della Biblioteca Apostolica Vaticana) che Mario Marega di Mossa, futuro salesiano misssionario in Giappone, indirizzò il 27 ottobre 1916 alla madre, rifugiata a Lubiana con le figlie:
“Io ho ricevuto la vostra cartolina e sono contento che la Gigia e Orfelia vadano a scuola. Quaderni, se devi anche qua risparmiar e non ho nessuni di più. La scuola è già incominciata e se abbastanza di studiare. Noi andemo col tranvai a scola. Questa fotografia la se della passeggiata. Molti saluti e baci a tutti, mandeme anche tessere del pan se gavè. Vostro Mario”.
Notevole è inoltre un altro gruppo di studi dello stesso Medeot circa profughi ed esuli goriziani, incominciando dai giuliani e trentini raccolti nel campo di Pottendorf-Landegg (“Voce isontina” 1965-1966) e dall’esilio a cui fu costretto lo stesso arcivescovo, mons. Francesco B. Sedej (Lettere da Gorizia a Zatična, Udine 1975). Successivamente egli ricostruì con cura le vicende di vari altri goriziani, per lo più friulani, tra cui Tita Birchebner e Remigio Blason (Udine 1974), dieci friulani in Russia e in Siberia (1978), i fratelli Moretti (1980), trentaquattro cervignanesi a Orlov (1981) e altri tra i quali gli internati di Goellensdorf (per la bibliografia relativa: I. Santeusanio - L. Pillon, Camillo Medeot. La figura e l’opera, Istituto di Storia sociale e religiosa, Gorizia 1993).
A cent’anni dalla prima guerra mondiale si sono potute registrare con soddisfazione a Gorizia e a Monalcone, come anche in altri luoghi, svariate iniziative, tra cui mostre e scritti, che hanno offerto occasioni per nuove conoscenze e opportune valutazioni in maggioranza riguardanti le terre sulle quali è passato il furore bellico e soprattutto riguardanti le ripercussioni vissute dalle genti goriziane e giuliane in genere.
A proposito, poi, di profughi e di internati “altrove”, è utile segnalare il catalogo bilingue intitolato appunto Altrove/Elsewere che raccoglie testi, documenti, personaggi e figure da cui si traggono notizie per lo più inedite su un tema di grande valore. La mostra relativa (tra il 2016 e il 2017) fu promossa dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Gorizia, mentre il catalogo, curato da Chiara Aglialoro, Gianpaolo Cuscunà e Paolo Malni, è stato edito dal Consorzio Culturale del Monfalconese (Poligrafiche San Marco, Cormons 2017): il sottotitolo, che suona 1915-1918. Memorie dal campo di Wagna e altre storie di profughi, può spiegare una certa riduzione di orizzonti essendo preso ad esempio in prevalenza il campo di Wagna in Stiria.
Nella pagina 159 del catalogo è inserita una bibliografia (Per saperne di più) che si limita alle edizioni degli ultimissimi anni: risultano perciò esclusi i riferimenti agli scritti citati più sopra e anche titoli riguardanti altri fenomeni o esempi analoghi e contemporanei, tra i quali sono molto utili quelli registrati nel Trentino, come, per esempio, ciò che si può ricavare da L. Dalponte, 1915-1918. Il clero dei profughi trentini, Trento 1996 (cfr. “Quaderni Giuliani di Storia”. XVII/2, 1996, p. 189): perché nel Trentino prevalsero gli internamenti nelle terre dell’Impero anziché in Italia, verso dove furono invece destinati in prevalenza i sacerdoti goriziani che furono deportati fin dagli inizi della guerra, man mano che avanzava l’esercito italiano; l’ eccezione è rappresentata da don Carlo Baubela, parroco di San Rocco, che alla fine, rimasto unico a Gorizia, fu trasferito in Toscana in occasione della ritirata di Caporetto.