Ripercorrendo i sentieri della memoria alla ricerca della riconciliazioneL’Associazione Concordia et Pax, nel suo impegno di ricerca e memoria sulle vicende drammatiche della seconda guerra mondiale – chiamato “Sentieri di
|
L a popolazione di queste comunità ha subito, a partire dall’aprile del 1941 prima le violenze dell’invasore fascista italiano (caratterizzati da atrocità ed orrori del tutto ingiustificati, inutili brutalità con fucilazioni anche di numerosi ostaggi civili); successivamente, venne coinvolta nelle vicende nazionali che la videro schiacciata fra l’invasore, italiano prima e tedesco poi ed, infine, da un movimento resistenziale caratterizzato sempre più dalla presenza del partito comunista sloveno. Quest’ultimo, promosse, guidò e, allo stesso tempo, controllò tale opposizioni e, alla fine, realizzò il disegno rivoluzionario di occupazione del potere, dando vita così ad una ulteriore pagina di violenze e di crudeltà, il cui ricordo tuttora lacera e divide la comunità slovena, in una memoria sofferta e controversa.
Questi brevemente il fatti. Il 6 aprile 1941 la Jugoslavia fu invasa da tutti gli Stati confinanti ad eccezione della Grecia: l’esercito italiano entrò a Lubiana il 10 aprile per occupare la parte meridionale della Slovenia con la Dolenjska e la Notranjska, coinvolgendo un totale di circa 336.000 abitanti residenti. Nelle settimane e nei mesi seguenti, si aggiunsero circa 20.000 profughi, in gran parte intellettuali e sacerdoti, in fuga dalle zone occupate dai tedeschi dove la repressione era brutale. L’occupante italiano, il 3 maggio 1941, decise di annettere il territorio occupato all’Italia come Provincia di Lubiana; inizialmente, procedette ad una forma blanda di occupazione, consentendo l’uso della lingua slovena, la continuazione del funzionamento della scuola e dell’università; fu introdutto il bilinguismo nella pubblica amministrazione e l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole. Subito dopo l’occupazione, la popolazione ed il partito cattolico maggioritario nel rappresentarla, soccorsero e nascosero i militari sbandati dell’esercito jugoslavo costituendo anche una formazione militare clandestina, la Slovenska legija. In accordo con il governo in esilio a Londra, aspettavano il momento opportuno per procedere all’azione. Dopo l’invasione da parte di Hitler della fino ad allora alleata Unione Sovietica, il 22 giugno 1941, scese in campo il piccolo ma influente partito comunista sloveno, il quale, organizzato nella clandestinità, seppe guidare ma anche controllare la resistenza all’occupatore promuovendo ma anche controllando l’organizzazione dell’Osvobodilna Fronta, con il quale l’organizzazione della resistenza veniva rappresentata in modo nazionale più ampio. Fondamentale per il controllo della resistenza jugoslava fu il ruolo dei VOS e dell’OZNA. Il servizio segreto VOS già nell’agosto del 1941 cominciò ad effettuare attentati a Lubiana. Come vittime venivano scelte personalità influenti di parte cattolica e liberale, alcuni anche orientati ad opporsi agli italiani, che avrebbero rappresentato per i comunisti una concorrenza, furono scelte come vittime. L’occupante italiano rispose debolmente ai sempre più numerosi attentati. La componente cattolica di quelle terre cominciò a chiedere all’occupante maggior tutela oppure di essere armata, qualora non fosse in grado di garantire la sicurezza. In una foiba carsica sopra Begunje presso Cerknica detta Krimska jama, gettate dai partigiani fino a luglio del 1942, finirono la loro vita alcune decine di persone. La fossa, proprio quest’anno è stata svuotata con tutte le garanzie scientifiche; il 9 ottobre 2016 si sono svolti a Begunje, alla presenza del presidente della Repubblica Pahor, i funerali dei resti di 28 scheletri, tra questi di alcuni bambini, vittime della violenza partigiana. Alla cerimonia era presente una rappresentanza dell’Associazione “Concordia et pax”. Ritornando alle vicende di oltre settanta anni fa, vanno ricordate le rivolte antipartigiane del maggio 1942, organizzatesi spontaneamente presso Sv. Vid sopra Begunje e a Loški potok; rivolte che non ebbero successo: la popolazione di orientamento cattolico giunse così alla conclusione di non potersi difendere davanti ai partigiani senza l’aiuto dell’occupante. Nello stesso tempo riteneva che unità combattenti proprie l’avrebbero difesa anche dalla violenza dell’esercito italiano. Si arrivò così, nella seconda metà del luglio 1942, alla formazione di unità, chiamate guardie di villaggio. Una delle prime fu costituita a Begunje. Nel luglio e agosto del 1942 fu attuata dall’esercito italiano una grande offensiva contro il territorio in mano ai partigiani con azioni di estrema atrocità verso la popolazione civile che venne a trovarsi fra l’incudine ed il martello. A Kožljek, sopra Begunje, in risposta alle provocazioni partigiane, all’inizio di luglio del 1942, venne bruciato un intero villaggio. Mentre la gente si trovava in chiesa per la messa, fu sterminato il bestiame. Durante l’offensiva, la rappresaglia dell’occupante superò il precedente terrore partigiano e rimasero colpiti anche quanti speravano che l’intervento dell’esercito li avrebbe liberati dai partigiani. A Gorenje Otave fu ucciso dai soldati italiani un gruppo di uomini, ai quali i partigiani avevano ordinato di scavare una trincea per interrompere la strada; nella vicina Sv. Vid i soldati rinchiusero gli uomini nella chiesa per poi fucilarli in gran parte. Alla fine di luglio del 1942, soldati italiani irruppero di nuovo nella valle, uccidendo ostaggi nei villaggi. Il parroco don Škerbec, descrivendo gli avvenimenti, ha parlato della fucilazione di più di 200 uomini e ragazzi; secondo i dati italiani ne risulterebbero 192. In numero di 370 furono internati sull’isola di Rab, dove in molti morirono nei mesi successivi per malattia e denutrizione. Nella valle e nei territori vicini furono bruciate anche 288 case. I comportamenti feroci dell’occupante finirono per accelerare la crescita del movimento partigiano in quanto i giovani spesso non avevano altra scelta che unirsi ai combattenti nei boschi. Le rappresaglie da parte italiana, politicamente mettevano in grave crisi la reputazione della componente cattolica nella misura in cui la popolazione vedeva che, di fronte alle autorità occupanti, non aveva alcuna consistenza. Il cappellano militare italiano Brignoli nelle memorie di guerra “Una messa per i miei defunti , afferma che, in un primo tempo i sacerdoti ancora intervenivano in favore degli ostaggi riuscendo a salvare qualcuno, in seguito nessuna richiesta veniva più esaudita. Fu così che a causa dei partigiani e dell’occupante, si arrivò, nei paesi della valle di Lož, alla costituzione di unità dette guardie di villaggio. Alla caduta (8 settembre 1943) del governo in Italia, le guardie furono attaccate dai partigiani; una parte di esse, tra queste c’era anche il poeta France Balantič, con il comandante Kremžar riuscì a rompere l’accerchiamento e a salvarsi. Il gruppo divenne in seguito il nucleo della guarnigione dei domobranci a Grahovo. Alla fine di novembre del 1943 fu attaccata dai partigiani e nell’“orrore del fuoco”, come recita una poesia di Balantič, morirono bruciati molti degli assediati; più della metà riuscì a fuggire. I prigionieri furono fucilati dai partigiani e gettati nel fuoco. Nell’attacco fu bruciata anche la chiesa. Gli abitanti del luogo seppellirono i corpi bruciati in una fossa comune che le autorità comuniste in seguito provvidero a cancellare. Il silenzio fu spezzato solo dopo l’anno 1990. Begunje e Grahòvo, pertanto, costituiscono la sintesi e l’esempio della follia della guerra e delle ideologie, della violenza, del dolore, delle sopraffazioni e contraddizioni che questa porta con sé. La sosta in preghiera e meditazione in questi luoghi-simbolo, porta giustamente a considerare la contraddittorietà del bene e del male e della sua lettura e rappresentazione. Solo nella disponibilità al perdono ed alla riconciliazione, attraverso la purificazione della memoria e nella ricerca della giustizia, è la strada da percorrere. La Slovenija con coraggio ha dimostrato di affrontare queste drammatiche e contraddittorie vicende, a partire dalla sepoltura dei resti recuperati dalla foiba del Krim (9 ottobre scorso). Una lapide è stata posta dall’Osvobodilna Fronta a Grahòvo a ricordo del caduti nella resistenza; di fronte, una seconda lapide, eretta dopo la caduta del comunismo, ricorda le vicende che abbiamo raccontato e propone la ricerca della giustizia e della verità come una strada di riconciliazione. Tale scelta aiuta a cogliere l’urgenza del ripristino del più elementare fra i diritti dell’essere umano, è proprio quello di seppellire i propri morti. Di qua e di là del confine.
data di pubblicazione:
31-12-2016
autore: Franco Miccoli | fonte: Nuova Iniziativa Isontina n.72 | tema: STORIA
|
||