Vivo in una società e pago le tasse anche per aiutare chi ha bisogno. Ospitare un profugo è carità. Creare accoglienza con le tasse è giustizia”. Esempio di vera laicità e di autentica libertà - è la precisazione di Cecilia Strada di Emergency che, davanti al tranello della demagogia (“Perché non ospiti i profughi a casa tua?”), ha risposto da donna libera e democratica mettendo a disagio anche certo giornalismo populista. Una vera comunicazione infatti, non può né fermarsi alla denuncia e tanto meno sollecitare le risposte “di pancia” della gente, ma deve arrivare al nocciolo delle questioni. In altre parole, il giornalismo e l’informazione rispondono alla loro vocazione quando sono in grado di dire a tutti (anche ai qualunquisti) che nessuno ha la soluzione in tasca; ai residenti impoveriti che si sentono minacciati nei loro diritti da masse di persone ancora più disgraziate di loro che i profughi non sono invasori o terroristi, ma fuggitivi con l’unica colpa di voler restare vivi. Abbandonare la strada dell’ ipocrisia e chiamare le cose con il loro nome, indicando soluzioni credibili e possibili e non palliativi che fanno perdere tempo.
Compito istituzionale della comunicazione e del giornalismo dunque non è di solleticare le fantasie o di titillare le emotività con il risultato di provocare eventi mediatici (il più delle volte solo virtuali), che, stravolgendo i fatti, generano reazioni demagogiche. All’azione della politica spetterà poi la ricerca dei mezzi e delle strade per rispondere a tali urgenze. Una missione complicata proprio perche la comunicazione - fra imprenditori, tecnici, editori e operatori diretti - vive una condizione impensata e difficile. Alcuni dati statistici e qualche osservazione.
Gorizia - che nella seconda parte dell’ottocento - poteva contare su un numero singolare di giornali, settimanali e pubblicazioni - ha visto recentemente chiudere ed accorpare numerose redazioni locali (Il Piccolo e Messaggero Veneto), ha perduto da anni “Il Gazzettino”; sono diminuite le redazioni ed i corrispondenti di altri giornali; le redazioni televisive locali hanno chiuso. Il numero di copie vendute, in linea con l’andamento nazionale, è in caduta. Dal 2010 ad oggi i maggiori editori di quotidiani hanno ridotto l’organico di quasi un quinto; si annunciano scioperi nei grandi quotidiani; alcuni quotidiani nazionali hanno chiuso e probabilmente non riapriranno più. I giornali italiani vendevano ancora dieci anni fa 6 milioni di copie (e ci si lamentava!); lo scorso anno a malapena sono state vendute 3,5 milioni di copie; tra il 2010 ed il 2014 i ricavi degli editori di giornali sono crollati da 3 a 2,1 miliardi di euro.
In altre parole, dopo due secoli sta per saltare il tradizionale e consolidato sistema di sostegno del giornalismo: ricavi da vendite, pubblicità e finanziamenti. Le redazioni producevano ed elaboravano notizie e analisi, i lettori pagano per leggerle e le aziende pagano per comprare spazi pubblicitari da affiancare agli articoli. La stampa poteva poi contare su altri mecenati, più o meno disinteressati; su aiuti ed agevolazioni dallo Stato che interviene per garantire e favorire lo sviluppo di una informazione pluralista e libera, elemento indispensabile per garantire il buon funzianamento della democrazia. Un posto, e rilevante, in questa situazione (oltre che della crisi dell’ economia) è stato occupato dalle nuove tecnologie applicate all’informazione: i ricavi dell’informazione veicolata dai nuovi sistemi telematici (tanto temuti o cercati) in questi ultimi anni sono passati dai 145 milioni del 2010 ai 204 milioni del 2014. La crisi economica e la presenza del web sono tra le prime cause, unitamente ad un prevalere di linguaggi nuovi ai quali non eravamo abituati, della situazione di sofferenza dei mass media. La modestia del risultati, nonostante le aspettative e le spese che editori e giornali si sono sobbarcati per individuare nuove risorse da mettere a disposizione del mercato dell’informazione, sono davanti agli occhi; gli “investimenti”messi in cantiere non garantiscono futuro. Il sistema appare in crisi: il giornalismo è in crisi. Al punto che, senza tema di smentita, l’informazione, in una parole, è la nuova povertà del nostro tempo. Una delle nuove povertà. Come altre povertà culturali - la povertà informativa - non appare sotto gli occhi della pubblica opinione, anzi viene considerata necessaria (troppe testate) o opportuna (necessario sfoltimento) o fuorviante (troppe fonti). La scarsa voglia di leggere e di informarsi è certo legata alla qualità delle informazioni e alla capacità della comunicazione informativa di fornire modelli capaci di essere sentinelle, controllori dei fatti e promotori di una informazione pubblica di qualità. In una parola credibile. Obiettivo che si raggiunge - pazientemente - attraverso mezzi e criteri di formazione della pubblica opinione che non siano alla mercè del mercato del voto, del consenso e dell’interesse di parte.
La completezza dell’informazione, soprattutto, una vera educazione alla libertà di opinione e la professionalità giornalistica hanno bisogno di mettere in campo, appunto, quello spirito critico e di ricerca che è il sale delle notizie, insieme alla capacità di farle parlare da sé fino alla forza di prendere parte alle vicende della società e di scommettere sulla vita delle persone e della comunità. Solo una operazione in grande di cultura e di grande responsabilità condivisa può consentire di uscire dalle secche nelle quali il giornalismo è caduto anche per proprie responsabilità.
Operazione che non può andare che di pari passo con una analoga azione della politica che obblighi alla selezione delle forze in campo, alla nascita di nuove opzioni che riportino in auge insieme il rigore delle informazioni e la qualità del comunicare. Non tutto ciò che si scrive è pubblicabile. La polverizzazione dei contributi pubblici o della pubblicità non sembra avere dato buona prova di sé; dopo un giusto tempo di digiuno, è indispensabile riprendere la strada assicurando mezzi (essenziali) a tutti quelli che hanno qualcosa da dire a condizione che ciò possa essere inteso nell’obiettivo di far “crescere” la pubblica opinione, rendendo i cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri. Gorizia - ed il Goriziano - pagano anche questo gap; la trasformazione della comunicazione - informazione in kermesse può consolare sul piano dei numeri e dei consensi, meno su quello della riaccensione di quello “spirito di Gorizia” che rappresenta la luce per uscire dalle secche.