Pervade il Goriziano un’atmosfera che prelude ad una stagione che potremmo definire di “rinnovamento nella continuità”.
Il richiamo potrebbe andare al gelso, albero utilissimo per secoli a tantissima povera gente che traeva utile profitto per vivere dalla coltivazione dei bachi da seta, grazie alle sue foglie.
L’albero, sempre disposto in filari, costituiva lo strumento di segnalazione dei confini, non solo di proprietà; era considerato quasi eterno, al pari degli ulivi che da queste parti non erano tanti, capace di rigenerarsi anche da quelle che alla vista sono vecchie cortecce, squartate dal tempo e dagli agenti naturali o meno.
Il pluricentenario e famoso gelso dei Fabiani è da queste parti quasi un mito.
Gino, all’anagrafe Giovanni Cocianni, uomo di questa terra di confine, ben piantato e con radici secolari, richiama questa immagine sia per la resistenza ad intemperie anche tragiche e drammatiche che la vita gli ha fatto provare soprattutto negli ultimi anni, sia per la capacità di appassionarsi a tutto quanto di nuovo spuntava attorno, in particolare nell’ambiente politico che, dopo la famiglia, è stato “casa sua” per più di settant’anni.
È importante attualizzare la sua figura con il richiamo ad alcune delle sue innumerevoli caratteristiche.
Giovane sempre, mai arreso, dedizione totate alla causa della sua comunità con attenzione privilegiata alla “povera gente”, sempre appassionato ad ogni cosa nuova a rischio frequente ed elevato di disillusioni e fallimenti; citava spesso una ripetuta frase della madre, preoccupata della sua esuberanza giovanile nei tempi della seconda guerra mondiale: “prima al fas e dopo ‘l pensa” (prima si impegna e solo dopo ci pensa).
Possiamo condividere la sensazione che le generazioni dei giovani di adesso (goriziani, italiani, europei...) siano caratterizzate anche da una amara visione non solo della storia ma soprattutto del futuro, visto con grande preoccupazione se non proprio con sgomento e sfiducia di poter minimamente incidere sullo stesso loro destino. Sfiducia sostanziale soprattutto verso la politica ed i suoi protagonisti, ricavandone anzi rifiuto espresso con rabbia che, sul piano elettorale, diventa per tanti adesione ai populismi di protesta che corrodono ancor più un sistema già fragile.
Gino si schierava sempre dalla parte del cambiamento, quasi “a prescindere”: mai per le rivoluzioni e tanto meno per quelle violente, ma di ogni cosa che potesse preludere o prefigurare anche in tempi lontani un passo in avanti rispetto alla stagnazione ed alla rassegnazione, ovvero alla continuità di un comodo rilassamento nel qualunquismo interessato delle cosiddette “vacche grasse”.
Questo lo affermava nella piena consapevolezza che non esiste un momento nel quale essere soddisfatti della situazione e quindi restare fermi a goderne gli esiti, perchè le ingiustizie e le sofferenze delle persone e delle comunità sono sempre e pesantemente presenti: pertanto pur dopo un traguardo raggiunto si deve già averne individuato un altro: mai immobili, anzi sempre inquieti ed inquietanti.
Negli ultimi anni manifestava agli amici più vicini tutta la sua amara nostalgia, anzi quasi un rimorso, per aver consumato grandissima parte del suo tempo nell’impegno politico, a discapito della famiglia che sentiva come il bene più prezioso ma che aveva messo in secondo piano in termini di tempo ed attenzione: citava con emozione la circostanza che ben due figli erano nati a Gorizia mentre lui era ai Congressi Nazionali della Democrazia Cristiana.
Problema assolutamente attuale e che va segnalato ai milioni di cittadini italiani che insultano abitualmente la classe politica tacciandola di epiteti volgari: cittadini che non solo offendono tutti quelli (la grandissima maggioranza) che hanno svolto con sacrificio personale ed onestà questo servizio, dai Comuni al Parlamento, ma che di questa volgarità fanno da alibi alla loro totale estraneità appunto alla “politica”.
Estraneità della quale tanti si fanno pure vanto come fosse un fattore di distinzione virtuosa, oltretutto potendosi permettere giudizi irrimediabili su tutto e su tutti: a loro basterebbe (ammesso che abbiano orecchi per sentire ed occhi per leggere) le parole di don Milani “dicono di avere le mani pulite per il solo motivo che le tengono nelle loro tasche”.
In cima alle sue attenzioni la sua città, la sua comunità più vicina: quella delle sue radici friulane e slovene e italiane, frammischiate come i campi dei genitori e dei nonni tra Salcano e Lucinico, dall’una e dall’altra sponda dell’Isonzo: anche il suo ultimo lucido ed accorato appello è andato a Gorizia, unica ed indivisibile.
ndivisibile. Si approcciano le prossime elezioni comunali e si nota una diffusa disattenzione se non proprio un rigetto al solo pensare di “dover andare a votare”; crescono al contrario auto-candidature e articoli di stampa che rischiano di far apparire il tutto come una fiera delle vanità o una commedia figurata.
Invece è in ballo il futuro stesso della città e non solo, perchè Gorizia, nello scenario nazionale ed europeo non vale poco, anzi; solo gli stolti possono affermare il contrario.
Ma qui si misura la capacità di reazione, la voglia di “metterci la faccia” per contribuire ad elevare la qualità della classe dirigente ed assumere nella massima unità la sfida di essere protagonisti del proprio destino e di non lasciare che resti nelle mani di pochi oltretutto non all’altezza della guida di una reale prospettiva.
Assumere l’eredità di Gino, per non limitarci ad una pur doverosa commemorazione, significa porsi singolarmente a servizio della comunità, emulandone la dedizione, contemperando utopie e fondate speranze.