L'ultimo mio contatto con don Renzo è stato il giorno dopo il suo ricovero in ospedale a Trieste; stavo pranzando quando ho sentito una telefonata con la scritta Renzo.
Ho esitato a rispondere perché sapevo della gravità e anche, da molti anni, della sua congenita debolezza che lo esponeva ad elevatissimo rischio davanti al Covid; non volevo sentire da un famigliare o intimo amico che, usando il suo cellulare, mi volesse comunicare l'esito mortale.
Invece era lui che, probabilmente aiutato dai medici che lo assistevano, mi ha chiesto di poter ricevere con urgenza una telefonata dalla sorella con la quale, non essendo dotata di portatile, doveva parlare riservatamente e prima possibile.
Garantito l’impegno gli ho passato Laura che lo ha salutato, incoraggiandolo scherzosamente per mascherare la nostra grandissima preoccupazione; ci ha ricambiato un saluto bonario pur confermando che la situazione per lui era molto difficile.
È seguita l’altalena di informazioni con Gabriella che, grazie a tutti i medici e operatori del Cattinara, ha potuto sperare come tantissimi suoi amici «fino alla fine», anche se progressivamente nella consapevolezza della durissima realtà.
Pochi giorni prima del suo ricovero io e lui avevamo scritto «a quattro mani» un lungo documento dal contenuto fortemente politico, frutto di un confronto che avevamo avviato a seguito dei due avvenimenti del dicembre 2020 che, a nostro parere, avevano posto le premesse di un profondissimo cambiamento delle prospettive future sia del Goriziano, sia delI’Italia.
Il 18 dicembre a Nova Gorica, assieme a Gorizia, veniva dichiarata vincitrice della candidatura, spettante per il 2025 ad un Comune della Slovenia, a «Capitale Europea della Cultura» per il 2025; e il 31 dicembre, alla fine del suo annuale messaggio agli Italiani, il Presidente Mattarella aveva richiamato l’attenzione di tutto il Paese a questo straordinario evento che diventava un esempio a tutta l’Europa. Assieme ad alcuni amici, connessi al computer per passare assieme ma «a distanza» (come ormai da mesi) la notte di capodanno, eravamo rimasti con tutta la nostra emozione davanti a quel riconoscimento, ben sapendo quanto il Presidente fosse profondamente conoscitore della realtà goriziana e del ruolo in essa della cultura politica e nella presenza sociale e culturale dei cattolici isontini.
Lo avevamo conosciuto personalmente nella primavera del 1989 quando, da giovane Ministro dei rapporti con il Parlamento, svolse un intervento sul «ruolo delle terre di confine», in occasione del trentesimo anno dalla fondazione del Centro Studi «sen. A. Rizzatti» e della sua rivista «Iniziativa Isontina», che avevano organizzato l’incontro, al quale, accanto a Paola Benes allora Presidente del Centro e a Celso Macor, direttore della rivista, c’era Adriano Biasutti, Presidente della Regione Friuli Venezia Giulia. Il tema dell’incontro era «Gorizia per una nuova Europa di dialogo e di pace», promosso dall’on. Luciano Rebulla, giovane parlamentare monfalconese della Democrazia Cristiana, concluso con una cena conviviale constatando la profonda amicizia che legava da molto tempo Sergio Mattarella e Michele Martina, che aveva conosciuto in quanto amico del fratello Piersanti, vittima pochi anni prima delle Brigate Rosse.
Proprio a cavallo del 2020-2021 Mattarella era impegnato nella crisi di governo che stava di fatto consumando il passaggio strategico ed innovativo per il nostro Paese dal primato della «partitocrazia», sostenuta dal bipolarismo destra-sinistra, ad un Governo capace di mettere al centro i problemi (reali e drammatici) dell’Italia, trovando la disponibilità a sostenerlo da parte di forze politiche pur profondamente diverse ed anche ostili, ma che sapessero privilegiare l’interesse generale rispetto ai loro pur legittimi interessi di parte democraticamente sanciti dal voto popolare.
Era indispensabile una guida forte e sicura da parte del Presidente della Repubblica ed una altrettanto autorevole guida del Governo da parte di personalità capace di risollevare le sorti del Paese in una ritrovata fiducia nelle proprie risorse umane e culturali. Per affrontare con grande coraggio e unità di intenti la sfida per sconfiggere il COVID e risollevare la fiducia e l’economia del Paese, nuovamente protagonista in Europa.
Con don Renzo, dopo un fitto scambio di mail e telonate, ho concordato un documento che metteva in relazione la straordinaria opportunità per il Goriziano derivante dalla candidatura dalle due città riunite almeno nell’avventura del 2025 e dalla contestuale, seppur ancora utopica prospettiva, di quello che sarebbe diventata realtà poco dopo in Italia, proprio mentre don Renzo si stava spegnendo: il «Governo Draghi» fortemente voluto dal Presidente Mattarella.
Don Renzo non ha potuto godersi quel passaggio: è scomparso dalla Terra lo stesso giorno nel quale Papa Francesco pregava il Dio di tutti assieme ai Capi delle altre due Religioni che si erano ritrovate assieme quali eredi di Abramo, nella sua terra di origine: Fratelli tutti.
Questo termine, fratelli, è stato il titolo, sintetico quanto straordinariamente efficace, che lui aveva suggerito a me e al Presidente Salimbeni, della mostra e del catalogo edito nel 2016, in occasione del cinquantesimo anniversario del primo Incontro Culturale Mitteleuropeo, tenutosi a Gorizia nel maggio 1966 sul tema della Poesia. Giuseppe Ungaretti, che presiedeva il Convegno, tornato a Gorizia e sul Carso a cinquant’anni dalla sua volontaria partecipazione da soldato alla Grande Guerra, lasciò al giovane Sindaco di Gorizia, Michele Martina, una dedica che, come confermatoci da lui stesso, Celso Macor, Sergio Tavano e altri protagonisti di quell’evento, costituiva un monito all’umanità intera: «Gorizia non è il nome di una vittoria, non esistono vittorie sulla terra se non per illusione sacrilega, ma il nome di una comune sofferenza: la nostra e quella di chi ci stava di fronte e che dicevano il nemico, ma che noi, pur facendo senza viltà il nostro cieco dovere, chiamavamo nel nostro cuore fratello».
Per i giovani cattolici goriziani quella dedica era anche un incoraggiamento a proseguire quel cammino caratterizzato con evidenza dalla intuizione che Cultura e Politica potevano e quindi dovevano trovare una stretta connessione, pur nella distinzione dei ruoli.
Don Renzo Boscarol ha speso tanta parte della sua intensa missione umana e sacerdotale per testimoniare personalmente la fecondità di questo rapporto, nella convinzione che quella sinergia, fondata sul reciproco rispetto, è in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze del migliore equilibrio possibile tra giustizia sociale e libertà, personali e collettive.
Sinergia difficile, che ha trovato efficacia purtroppo anche con le opposte ideologie del nazi-fascismo e del comunismo, ma che viene alimentata dalla cultura politica anche di ispirazione cristiana, può offrire soluzioni ai grandi problemi aperti dalla globalizzazione: quello «spirito di fratellanza» laicamente proposta da Giuseppe Ungaretti, insistentemente proposta e sollecitata sul piano religioso da Papa Francesco ed intuita da tempo da don Renzo con la sua sintesi di prete giornalista e di «periferia» con la parola fratelli.
Un'eredità che è una responsabilità rivolta a tutti e ad ognuno, derivanti dal suo insistente richiamo all’impegno politico soprattutto da parte dei cattolici, che esortava sempre, quasi inascoltato se non proprio rifiutato, a considerarlo la forma più esigente della carità.