Un ambizioso progetto di ricerca sulla scultura tra XII e XIII secolo in un’area storico d’arte medioevale Luca Mor, ha trovato puntuale attuazione nella mostra, organizzata dalla Soprintenedenza dei beni culturali e dall’arcidiocesi di Udine a Cividale e chiusa domenica 12 ottobre scorso. Progetto e mostra - che si segnalano per il forte carattere e collaborazione internazionale - hanno avuto un perno straordinario nel monumentale crocefisso del Duomo di Cividale che ha segnato il catalogo e, soprattutto, la esposizione a palazzo Nordis. Un fuoco che ha illuminato la splendida raccolta di opere e, soprattutto, la visione dei visitatori attratti dalla scultura e, principalmente, dal volto del Cristo crocefisso. Sguardo e posizione del corpo traducono - come è stato scritto da Licio Damiani - una scelta: quella di “allargare le braccia nell’attimo della sofferenze estrema, come per appropriarsi con il suo sacrificio dei dolori del mondo; il volto, sporco da schizzi di sangue, colto nell’ultimo respiro, quasi di serena accettazione¸ l’andamento zigzagante del corpo per suscitare le dolenti melodie gregoriane del venerdì santo nel Planctus Mariae della liturgia patriarchina”. Una centralità - quella del crocefisso - che i curatori della mostra hanno saputo valorizzare e che sembra continuare il compito che ha svolto e svolge all’interno del duomo per quanti gli rivolgono gli occhi e lo pregano. Attorno ad esso, la proposta ha compreso una trentina di rarissime opere lignee superstiti prodotte nell’ambito del Patriarcato e quindi dell’area compresa tra Tirolo e Dalmazia, la Carinzia, la Stiria, la Baviera, dal Friuli Venezia Giulia e la Carniola slovena, dall’Istria e dal Veneto, fino all’Alto Adige. La scelta, oltre a garantire una sicura rilenza internazionale, ha consentito di mettere insieme una iniziativa nello spirito proprio del superamento dei confini e della rappresentazione di un’area ricca di passato e capace di rappresentare una sintesi di grande rilevanza. “Il crocefisso di Cividale e la scultura lignea nel Patriarcato di Aquileia al tempo di Pellegrino II”: con questo titolo, la mostra ha rappresentato, non a parole, ma a fatti, lo spirito di una operazione culturale precisa: consentire la visione ed il confronto fra sculture e culture, offrire in una sintesi mirata quello che probabilmente si può chiamare il “modello” cividalese”. Un modello che molto ha da dire del prestigio della sede del principe-vescovo aquileiese e della sua centralità. In altre parole, il Crocefisso cividalese segna la strada che, oltre agli apporti bizantini attraverso Venezia, svela la cultura sveva di appartenenza, essendo i patriarchi, fino a metà del Duecento, di provenienza tedesco-ghibellina. La mostra ha illustrato i passaggi attraverso una sequela di opere: dal Crocefisso della chiesa istriana di Gallignana a quello del Museo diocesano di Capodistria che, insieme, si presentano con retaggi bizantini, ma anche con trasformazioni significative e riconoscibili nel volto affilato e nelle braccia più distese ed affilate. L’inizio del superamento della rigidità che apre anche ad una visione, ad un vero e proprio cambio anche di teologia e di mistica. Il documento più rilevante di questa trasformazione è proprio il “Christus patiens”, cioè il Cristo del Battistero di Koper-Capodistria, che presenta notevoli segni di questo cambio di prospettiva: dalla divaricazione delle braccia e delle dita fino all’incavamento del petto, dal velo sanguigno all’abbassamento del capo. Una autentica drammatizzazione che indica la ricerca appunto di nuove strade, ma anche di ulteriori ripensamenti teologici. Una dimensione specifica è data dai tre crocefissi regionali: il Crocefisso di S. Giusto a Trieste, il Cristo di Portis di Venzone e il Cristo della chiesa di Santa Maria a Gemona, dove si rincorrono alcuni stili classico-latini nel primo, suggestioni nordiche e influssi veneto-bizantini, tratti raddolciti e quotidiani. L’apporto internazionale della mostra è stato assicurato dal Crocefisso del duomo di Gurk e dal Crocefissio in bronzo da croce astile di Klagenfurt. L’apertura della mostra è affidata ad un crocefisso di cultura renana appartenente alle collezioni della Banca popolare di Cividale. Di interesse particolare, il gruppo del Museo archeologico di Attimis. Infine, da segnalare la presenza del Crocefisso ora a Villa Bresciani a Cervignano. Collocato in origine nella basilica di S. Felice fuori le mura di Aquileia, rischiò di essere bruciato al momento della Controriforma; acquistato dai baroni Bresciani, fu salvo e si presenta alla venerazione con le sue forme sproporzionate che inducono ad un vero e proprio mutamento di prospettive, segnato da esagerazioni paganeggianti e con segni evidenti di delusione e sconfitta. La mostra si è arricchita anche dalla presentazione di una serie di argenti, bronzi, avori; su tutti troneggia il Paliotto di Pellegrino II in argento dorato e pietre dure, offrendo uno spettacolo a sé proprio per lo splendore delle figure di apostoli, di evangelisti e di santi aquileiesi che fanno corona alla Vergine con il Bambino. Arti diverse, ma una grande e riconosciuta capacità di offrire al visitatore una vera e propria occasione di confronto che va oltre alla dimensione artistica per annunciare dimensioni autentiche di spiritualità. Cividale, anche con questa esposizione che ha raccolto in quattro mesi oltre settemila visitatori, a dimostrazione non solo dell’interesse suscitato - per la verità anche in altri centri che hanno messo a disposizione le loro opere - ma anche del ruolo di capitale anche artistica svolto in epoca medioevale da Forum Julii. Accanto alla mostra - curata da sapientemente da Caburlotto e Luca Mor - hanno avuto luogo una serie di incontri culturali, fra i quali una dotta riflessione teologica del prof. Loris Della Pietra che non ha mancato di mettere in risalto la centralità della croce nel cristianesimo, una vera e propria magia di salvezza.